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La prima volta che ho visto i lavori di Daniele Galliano era il 1994. Lui, a soli trentatré anni, era uno dei più promettenti artisti, uno di quei pochi che credeva fermamente nella pittura, figurativa, in opposizione alle tendenze del momento. Io, non ancora ventenne, cercavo la mia strada ma ero già innamorato dei colori, delle tele, dei cavalletti, pur nella consapevolezza di non voler, o non essere in grado di fare l'artista. Timidamente chiesi i prezzi e con altrettanta cortesia mi venne riposto che tutte le opere in mostra erano già state vendute. Seguii il suo percorso artistico, anno dopo anno, i suoi successi e le sue sperimentazioni, rammaricandomi di non aver trovato in quella mia prima mostra visitata un'opera per me. Comprai uno dei suoi primi cataloghi, edito da Castelvecchi nel 1997, con i testi di Luca Beatrice e Cristiana Perrella, che riassumeva i primi cinque/sei anni di lavoro. Rimase sulla mia scrivania per anni, e mi accompagnò in ogni trasloco. Già in quel periodo si notava come tutto quello che circondasse la vita di Daniele Galliano era fonte di ispirazione: la città, i party, le folle, le case di ringhiera, le donne. Curioso, a tratti bulimico o forse semplicemente eclettico, ogni istante quotidiano diventava soggetto dei suoi quadri. Quasi come in un social network ante litteram, sulla tela finivano amici, conoscenti, gente di passaggio, tramonti, pioggia, aperitivi, feste in discoteca. Un diario di immagini in continua evoluzione con uno stile che se da un lato richiama la fotografia, dall'altro è un'esaltazione della pittura nella sua crudezza, nella sua drammaticità e nella sua sintesi. Così come un musicista (quale Galliano è, ndr), sembra che il pennello sia il suo strumento, che lo trasporti in una dimensione armonica e di improvvisazione apparentemente imperfetta, ma proprio per questo reale.
Nella conversazione con Arturo Schwarz pubblicata nella monografia edita da Skira, Daniele Galliano afferma: "Io dipingo la vita, scelgo situazioni che mi toccano emotivamente. Non penso mai al mercato e a quello che ci sta dietro. Capisco che certi soggetti possono anche disturbare, come le scene di sesso. Ma la mia intenzione non è provocare o disturbare chi guarda l'opera. Per me questi dipinti rappresentano l'occasione di vedere la luce che si riflette sui corpi. Le forme creano un equilibrio magico. Mi piace il nudo, mi piace la figura umana. Inizialmente per dipingere queste scene cercavo i miei modelli sulle riviste, tra le foto che mi passavano sotto gli occhi. La pornografia mi dava modo di vedere corpi, la bellezza dei corpi. Nel porno c'è tanta bellezza dei corpi."
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opera in galleria
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BIOGRAFIA
Nato a Pinerolo nel 1961, vive e lavora a Torino.
Autodidatta, comincia a dipingere nella Torino dei primi anni '90, guadagnandosi presto un posto di primo piano nella nuova scena pittorica. Con il suo "realismo fotografico" espone in importanti mostre personali e collettive in tutto il mondo.
Nel 2006 prende parte alla IX Biennale dell'Havana su invito di Antonio Zaia, nel 2009 alla 53a Biennale di Venezia e nel 2016 alla terza edizione della Kochi-Muziris Biennale in Kerala.
Ha esposto in numerose personali, tra cui nel 1996 e 1997 presso la Galleria Annina Nosei (New York), nel 1992 e 1994 presso galleria InArco (Torino) e nel 1996 presso Galleria Nazionale d'Arte Moderna (Roma). Tra le collettive: Galleria d'Arte Moderna di Bologna, GNAM di Roma, Palazzo Reale a Milano, GAM Torino, Quadriennale di Roma, MART - Museo d'Arte di Trento, Rupertinum Museum di Salisburgo, Magasin di Grenoble ed il Palazzo delle Papesse a Siena, Capital Museum di Beijing
Suoi lavori sono inclusi in alcune delle maggiori collezioni pubbliche e private, come la Galleria Civica d'arte Moderna e Contemporanea di Torino, la Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, il MART di Trento e Rovereto e la Collezione Unicredit Private Banking di Milano. Negli ultimi anni ha inoltre collaborato con molti musicisti, registi e scrittori. Nel 2015 Skira ha pubblicato una monografia sul suo lavoro.
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